La propensione all’acquisto dei consumatori islamici è condizionata da due termini: haram, ovvero proibito (dal Corano e dal Sunna) ed halal, ovvero lecito. Il senso comune occidentale riconduce questi due termini ai prodotti alimentari, al divieto di consumare carne di maiale e alcool.
Ma il termine halal, mutuato dalle prescrizioni alimentari religiose, indica invece tutto ciò che è ingeribile, iniettabile o che entri comunque nel corpo attraverso i pori della pelle. Inclusi i cosmetici, la cui correttezza dei processi di lavorazione e degli ingredienti utilizzati è cruciale per il fedele musulmano.
Ciò spiega perchè la cosmetica halal sia un trend in costante crescita, tanto in Europa quanto nel resto del mondo, con un giro d’affari che in due anni è più che triplicato. Ne parliamo con Annamaria Tiozzo, profonda conoscitrice del mondo musulmano e consulente di marketing islamico e certificazione halal dei prodotti.
Come ha iniziato a occuparsi di certificazioni halal?
Mi ci sono imbattuta per lavoro, nello Yemen, ricercando canali distributivi per conto di alcune aziende italiane nei settori alimentare e cosmetico. La mancanza di una certificazione halal rendeva molto complicato commerciare con i Paesi del Golfo. In seguito, la curiosità e l’interesse per l’argomento hanno fatto sì che diventasse la mia specializzazione professionale.
Quali sono i Paesi dove la cosmetica halal è più popolare e diffusa?
Contrariamente a quanto si pensi, non quelli mediorientali. Le nazioni dove più del 90% della popolazione è islamica danno sostanzialmente per scontata la natura halal delle produzioni locali, anche se in realtà molti degli ingredienti vengono approvvigionati dall’estero. Basti pensare che l’80% dei cosmetici commercializzati nel mondo arabo è prodotto in Europa, Francia e Italia in testa. L’esigenza di una certificazione, e quindi di un controllo da parte di una autorità religiosa, è più sentita nei paesi non islamici; primi tra tutti quelli asiatici.
Il primato di diffusione spetta dunque ai Paesi asiatici?
Più precisamente a quelle nazioni asiatiche con alta percentuale di musulmani, cioè Indonesia, Malesia, Singapore, Brunei. In Malesia e Indonesia il 57% delle consumatrici di cosmetici verifica che il prodotto sia in possesso di una certificazione halal e il 37% la esige. Numeri che confermano l’appeal commerciale di questo tipo di prodotti.
Vale anche per l’Europa?
Anche nei paesi europei la richiesta è molto forte e in continua crescita. Le aziende inglesi e francesi sono state le prime a sviluppare e mettere sul mercato linee di cosmetici certificati di grande successo.
Una svolta culturale e di business che si accompagna, per esempio, all’apertura del Regno Unito nei confronti dei prodotti finanziari islamici. Sono due lati della stessa medaglia?
Direi che il successo della cosmetica halal ne è una conseguenza. Come consumatori, sono tre le macro aree che maggiormente accomunano i musulmani: alimentazione lecita, abbigliamento modesto e finanza islamica. L’offerta finanziaria e l’ambiente commerciale islamically friendly hanno attratto una immigrazione più ricca, colta e consapevole, trainata anche dalla offerta scolastica universitaria. E’ rinomato che il consumatore islamico giovane (e si consideri che in nazioni come Yemen e Arabia saudita piu’ del 60 % della popolazione ha meno di 18 anni), ancor più dei suoi genitori, cerca sul mercato prodotti coerenti con la propria tradizione religiosa e culturale. Sono proprio musulmani residenti in Inghilterra ad avere formulato le linee di cosmetici halal che hanno riscosso un grande successo sul mercato.
Questi prodotti fanno presa anche su consumatrici non islamiche, per via dell’attenzione alla fase di produzione e alla natura degli ingredienti?
Certamente. L’assenza di ingredienti di origine animale a favore di estratti vegetali attrae, per esempio, le consumatrici vegetariane, chi è sensibile ai diritti degli animali o chi soffre di particolari allergie. E’ peraltro molto utile commercialmente associare la certificazione halal con quelle biologiche, environmentally friendly, cruelty free e simili.
Una vera manna dal cielo per il business dunque. Quanto è cresciuto il volume d’affari mondiale dei cosmetici certificati?
Nel 2008 il mercato dei prodotti di cosmesi halal valeva 580 milioni di dollari. Nel 2010 è stata superata la soglia dei due miliardi di dollari. L’incremento annuo nel mondo è del 12%, che sale al 19% nei paesi del Golfo.
E l’Italia? Sta a guardare o si attrezza per il cambiamento?
L’Italia arriva per forza di cose in ritardo rispetto a Inghilterra e Francia, per una questione di numeri e di tempi. Ancora non abbiamo a disposizione dati di vendita e statistiche, ma la situazione è in grande fermento. A livello personale, posso testimoniare che le richieste di consulenza in questo campo sono notevoli (venti solo negli ultimi due mesi) e già tre aziende sono in grado di produrre per sé o conto terzi cosmetici halal.
Annamaria Tiozzo è consulente di marketing islamico e certificazione halal dei prodotti. La sua azienda, WHAD, si occupa anche di ricerca di reti vendita, pubbliche relazioni, assistenza nelle gare di appalto e corsi di business etiquette. Trascorre tre quarti dell’anno tra Yemen, Nord Africa, Medio Oriente, Sudan, Somalia e Turchia. É inoltre autrice del libro Marketing islamico e certificazione religiosa, di prossima pubblicazione.